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febbraio 27 / sixmemos / Comunicazione Politica

Salvate il soldato Raggi

Alta sulla prua del nuovo che avanza, Virginia Raggi si prende tutti gli schiaffi del vecchio che insegue. Incapace per mesi di mettere in moto l’amministrazione della città, accusata di essere indebitata con la destra romana e infine sotto scacco della magistratura per inconfessati legami con il sottobosco del Campidoglio, appare come un vessillo sul punto di essere ammainato dalla sua stessa ciurma. Di certo non l’aiutano il contratto di sottomissione sottoscritto col Movimento, né il Movimento stesso. Soprattutto, diciamolo: non l’aiuta essere una donna. Alziamo la testa e pensiamoci: lassù, oltre il soffitto di cristallo che impedisce alle donne di ricoprire posizioni di vertice, c’è soltanto lei, Virginia. La sua è l’unica poltrona di potere e di spesa. E’ vero, abbiamo e abbiamo avuto donne presidenti della Camera dei deputati, che però è un po’ come un ministero senza portafoglio, se rapportato alla presidenza della Repubblica o a quella del Consiglio, finora precluse alle donne. Uno scalino più giù, ci sono soltanto due presidenti di Regione su 20: Debora Serracchiani in Friuli Venezia Giulia e Catiuscia Marini in Umbria. Abbiamo anche avuto una sindaca a Milano, che non ha però la valenza politica di Roma, ma le donne sindaco della stagione Raggi-Appendino contano pochino: in termini assoluti sono ben 1.105, pari al 13,8% dei 7.983 comuni italiani, ma l’87% amministra comuni sotto ai 10 mila abitanti e il 72% sotto ai 5 mila. Una quantità molto significativa di donne impegnate nel sociale, ma pressoché insignificante in termini di peso politico, dato che le poltrone che contano restano quelle due. E alla fine soprattutto quella romana. Fuori dalla politica, alle donne sono naturalmente preclusi i ruoli che contano nelle grandi imprese a capitale pubblico – Trenitalia, Poste Italiane, Finmeccanica, Eni, Enel – nelle banche, nella Banca d’Italia, nelle authority, nella magistratura – nessuna donna al vertice della Corte di Cassazione, della Corte dei Conti, del Consiglio di Stato e nemmeno del sindacato, quell’Associazione nazionale magistrati presieduta con piglio garibaldino da Piercamillo Davigo – e naturalmente nei media. Monica Maggioni è la Presidente della Rai, non l’amministratore delegato. Il Corriere della sera? Repubblica? Il Sole 24 Ore? Il TG1? Il Tg5? Nessuna giornalista italiana è capace non dico di tenere il timone di una testata che faccia opinione, ma nemmeno di entrare in lizza per. In compenso, i signori giornalisti, al dunque, tradiscono un riflesso culturale profondo. “Va via con quel suo passo risoluto, sicuro (che affinò nel corridoio dello studio legale Previti-Sammarco, quando andava a fare le fotocopie, e che ingannò poi Casaleggio padre, quando la scelse come candidata alla poltrona di sindaco)”: testuale dal Corriere della sera, all’indomani dell’invito a comparire alla Sindaca da parte della Procura di Roma. Perché una donna avvocato, in uno studio legale, non fa l’avvocato ma al massimo le fotocopie, è ovvio. Quale sindaco, al maschile, riceverebbe la stessa attenzione per il suo curriculum vitae? Resta che le donne sono inadatte a ricoprire i cosiddetti ruoli apicali. Forse sono poco preparate. Forse sono poco affidabili. Forse hanno da fare delle fotocopie. O forse sono semplicemente donne e se Virginia Raggi è finita lì dove si trova è soltanto per una serie di eventi fortuiti, ma rimedieremo. E’ per questo che il soldato Raggi deve continuare a fare il sindaco di Roma. Il nostro sindaco. E’ sorprendente che le donne non l’abbiano capito. Gli uomini che la spingono già dalla torre, invece, lo hanno capito benissimo.

 

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CategoriesComunicazione Politica

TagsDiscriminazione Raggi

Written by:sixmemos

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